domenica 10 febbraio 2019

Correre col cuore di latta per fare soldi e comprarci una Rolls Royce...

Tutti parlano del festival ma nessuno dice che...
Il Festival di Sanremo, snobbato da molti intellettuali, ha sempre rappresentato per me una vetrina privilegiata per osservare fenomeni di costume e tendenze della nostra società, perché alla fine la canzone italiana ci parla, con sottofondo musicale, del nostro paese.
La scommessa di Baglioni è stata quella di aver inserito in gara un bel numero di giovani, di volti che non erano noti ai soliti frequentatori del festival, e a giudicare dal podio la scommessa l'ha vinta. L'età media dei primi classificati è davvero bassa.
Visto che sulla vittoria di Mahmood e sulle sue origini egiziane le polemiche sono già state fatte tutte, mi vorrei soffermare sull'argomento del testo della sua canzone, e del filo rosso che unisce la quasi totalità dei testi delle canzoni di quest'anno.
Se prima al centro della musica italiana c'era l'amore, la coppia, oggi ai rapporti amorosi resta uno spazio più ridotto. Il testo di buona parte dei pezzi parla del conflitto generazionale, dei rapporti familiari, e questo un significato ce lo avrà di sicuro.
Il padre della canzone vincitrice è un padre assente, che non riesce ad assolvere al suo compito, che non è un esempio valido per il figlio, che perde la dignità e l'orgoglio e genera sofferenza, e un grosso vuoto. Qualcuno potrebbe dire che il conflitto tra padre e figlio in questo caso è anche uno scontro tra culture, ma questa è una falsa lettura, perché non è in discussione il mondo musulmano, ma i cattivi esempi, da qualsiasi cultura provengano.
Il padre della canzone di Irama, ad esempio, non è certo straniero, eppure è violento, "La ragazza con il cuore di latta" si porta come un macigno addosso una storia fatta di lividi e alcolismo.
Il ragazzo sedicenne della canzone di Daniele Silvestri si sente prigioniero della scuola, e pensa alla sua famiglia come "ai domiciliari". La canzone denuncia la difficoltà di comunicazione tra adulti e giovani, del tentativo di incasellare con le conseguenti sofferenze qualsiasi forma di "Argento vivo".
La canzone è un vero grido di dolore, è una denuncia forte, e sarebbe davvero un peccato mortale non coglierne il senso.
Anche in altre canzoni si parla di rapporti familiari, e gli unici positivi sono quelli che solcano la cifra della nostalgia, come nella canzone di Ultimo, votatissimo dal pubblico, che rimpiange chi non c'è più, forse una madre avvertita prima come rompipalle e di cui ora il protagonista sente la mancanza. Anche Paola Turci riscopre il padre nel momento in cui lui sta morendo, e la dedica al nonno di Nigiotti è struggente, e si muove nel passato, nella scia di quello che non c'è più.
A sancire di più il fil rouge che unisce le canzoni di quest'anno c'è poi l'intensa partecipazione di Anastasio, anche lui giovanissimo, vincitore di X Factor, che come già nel talent denuncia con il suo testo questa difficoltà a "correre" che la società impone ai giovani. La società dei valori retorici e tradizionali è stata ben rappresentata infine dal Volo, che si beccano il terzo posto lasciandosi alle spalle canzoni molto meno inutili della loro.
Ora veniamo a me, e alle mie emozioni. Queste canzoni mi portano riflessioni un po' scomode, e dolorose. Nel gioco delle parti io sono costretta a stare dall'altro lato, nel mondo degli adulti, eppure sento in me tanta empatia per questo disagio giovanile, e avverto come un male necessario il darmi addosso dei miei figli, per cui io rappresento mio malgrado il nemico. Eppure in qualche momento anche io percepisco la scuola come una prigione in cui sono reclusa da 50 anni, eppure non riesco a comunicare ai ragazzi che io sono dalla loro stessa parte. Questa società in cui contano solo i Soldi, Soldi, (clap clap), che ci fa vivere come miti una diva platinata che piange in Rolls Royce, o una cantante di 27 anni che si sfonda di alcool e droghe (vedi testo della canzone di Achille Lauro, manifesto di una vita spericolata 2.0) in fondo ci ha reso tutti fragili, tutti intenti a correre per fare soldi e vivere con un cuore di latta. Come potremmo farglielo capire? Come potremmo ridefinire la famiglia con contorni più umani e meno anacronistici?
Quello che invece quest'anno è davvero mancato, è uno spazio femminile, solo 6 donne in gara, nessuna sul podio, dove l'unica papabile era una stella del rock di 68 anni vicina alla quota 100. Davvero non c'è nessuna ragazza in Italia che non sappia raccontare rappando il nostro mondo, che è ancora più complicato di quello di chi nasce maschio?
Ma siccome in fondo sono sole canzonette mi concentrerei infine sull'interrogativo irrisolto: cosa c'era nella borsetta della Bertè? Nessuno ne parla...