venerdì 3 novembre 2017

La ragazza sul treno

La mia anima oramai non è solo divisa in due, è lacerata in mille pezzi. Sento dentro il dolore di chi vede il proprio paese vivere un tempo cupo, grottesco, e non parlo solo della crisi economica, della mancanza di lavoro, della sanità pubblica che non funziona. Parlo di una crisi di valori, di una identità controversa e piena di contraddizioni, di un popolo che stenta a saper fare i conti con la storia, che vive ogni fenomeno culturale, o politico, senza farci nessuna  approfondita riflessione, che non sia quella dei tuttologi da social. 

Andare via definitivamente, o restare e combattere per cambiare le cose? Questo il mio tormento mentre mi trovo in treno. Viaggerò fino a Milano, dove incontrerò mio marito. Sosta per rivedere un vecchio e caro amico, vecchio ma tanto più giovane di me, e poi dritti in Germania, a recuperare quel pezzo di anima che è rimasta lì, ma solo per qualche giorno, e poi ritorno a Napoli. 

Due parole di rito con lo studente al mio fianco, è romano ma studia Ingegneria a Napoli e torna a casa per "il ponte dei morti". Lui torna a casa a Roma, penso, domani mio figlio torna a Napoli da L'Aquila dove è riuscito a entrare all'Università nella facoltà che desiderava frequentare, io me ne vado in Germania dove mio marito lavora. Siamo diventati tutti precari, quasi senza fissa dimora, e affolliamo treni, autobus, aerei, in cerca di un po' di pace, o di serenità.

Nella fila accanto è seduta una ragazza, è sola, ha poggiato il suo giaccone grigio nel posto libero accanto a lei e traffica col telefonino, manda messaggi, credo. 
Arriva il controllore. Su Italo passa sempre. Basta dargli il codice. 
La ragazza dice: Abbonamento. Il controllore chiede di vederlo, la ragazza è chiaramente imbarazzata, ma conserva il suo pallore. Una carnagione chiara che non stona con i suoi capelli tinti di biondo. Solo le sopracciglia scure la tradiscono.  Mi sembra fragile, magra, spaventata. Anche l'uomo del treno deve avere avuto la stessa impressione, tanto che le chiede se si sente male. Poi la ragazza tira fuori un abbonamento regionale, non valido per quel treno. Il controllore glielo contesta, lei chiede di pagare il biglietto, ma poi quando sente il prezzo che deve pagare per scendere a Roma dice: Non ho abbastanza soldi. Il controllore le chiede i documenti, lei li nega, lui chiama la polizia che è a bordo.

 Arrivano in due, un uomo e una donna in divisa, chiedono alla ragazza di seguirli, escono dal vagone. Mentre il ragazzo al mio fianco mi chiede cosa è successo, visto che lui ha potuto vedere e udire meno di me, io gli rispondo svogliatamente, a monosillabi, sono spaventata quasi quanto la ragazza, e non capisco neanche perché. 

Quando i quattro tornano sembra tutto risolto. Capisco che hanno chiamato il padre della ragazza, la faranno scendere a Roma, lì prenderà un treno per tornare a Napoli, un regionale, coi 20 euro che ha dovrebbe farcela a pagare il biglietto. 
Dovrà avvisare anche la sua amica da cui voleva andare a Roma, e da cui non andrà più. A me sembra ancora più preoccupata di prima, e non sono così sicura come l'agente che l'amica esista sul serio.
L'agente cerca di tranquillizzarla, il padre è stato simpatico e comprensivo al telefono. 

Ora, solo dopo qualche giorno, so perché ero così spaventata anche io: quella ragazza mi ricordava quando scappai di casa a 16 anni, fuga stroncata sul nascere dal fratello maggiore di un mio amico che aveva capito tutto e si offrì di fare da intermediario tra me e mio padre. Quando mi riportò a casa mio padre si mostrò gentile e comprensivo, salvo poi riempirmi di botte quando ci ritrovammo da soli. Ero stata riconsegnata nelle mani dell'uomo da cui scappavo. 
Dove voleva andare quella ragazza? Sono giorni che ci penso. Da cosa o da chi fuggiva? Sarebbe davvero tornata a Napoli una volta scesa dal treno? Sono giorni che mi chiedo dove sarà ora, sono giorni che mi chiedo se potevo fare qualcosa. 
Lei era incappata in uno scrupoloso controllore, io sul treno non ero neanche riuscita a salire. 

La mia fuga io la portai a termine lo stesso, sposandomi a 17 anni e mezzo, col permesso del Tribunale dei Minori. E dopo quasi 40 anni scappo ancora, in un mondo che assiste inerme alle troppe cose strane che accadono, troppo spaventato per chiedersi il perché.




1 commento:

  1. Più viviamo tempi in cui è NECESSARIO avvicinarsi gli uni agli altri e più ci isoliamo nei nostri affanni e dolori. Oggi più che mai dovremmo aprirci all'altro, uscire dal nostro guscio per condividere le nostre preoccupazioni, sofferenze, tristezze...
    Brava Patty!

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